Io
non ho paura di Salvatores è un film che finalmente ci
sorprende, con i suoi valori semplici, con le sue scene semplici,
con le sue musiche che ci entrano nel cuore.
Michele un bambino di dieci anni vive l’estate calda con i suoi
coetanei tra i campi di grano del tavoliere di Puglia.
Un’estate che si rivela per lui molto importante, Michele entra
a contatto con una realtà che non aveva mai nemmeno immaginato,
chiuso con la sua famiglia in un piccolo paesino fatto solo
di grano.
Michele scopre tra le spighe arse dal sole un bambino della
sua stessa età, ma prigioniero in un buco sotto terra,
escluso a quel mondo così semplicemente giallo e caldo.
All’inizio c’è la folle paura di aver scoperto qualcosa
di brutto, un mostro, un pazzo, un relitto di vita umana nascosto
per non essere visto, un peccato, un errore di Dio.
Ma poi l’anima del bambino, curiosa e gentile esce fuori dal
buio della paura, e si avvicina a quel piccolo fagotto con le
caviglie insanguinate. Filippo è un bambino anche lui
di dieci anni che è rimasto vittima di un rapimento e
chiuso in quel buio buco umido, tenuto come un animale, affamato,
assetato, solo, perduto.
Michele lo culla con la sua amicizia, a volte si spaventa, a
volte gli fa da padre, impara da lui il dolore, la solitudine,
la follia. E il dramma di Michele che non sa come aiutare il
suo amico diventa angoscia quando scopre che il male è
proprio in seno alla sua casa, è proprio suo padre, che
con gli altri abitanti del paese ha chiuso quel bambino in un
buco. Michele è confuso, non capisce perché i
grandi abbiano fatto un simile gesto. Non può più
andare ad aiutare Filippo perché viene scoperto, ma alla
fine il bambino vincerà sul male. Un finale che rilascia
col fiato sospeso, che ci fa ricordare che l’amicizia è
davvero un valore sacro, da proteggere.
Questo film sembra creato da un bambino, è sorprendente
vedere come il regista si immedesima nella mente dei bambini,
come tutto è a misura di bambino, e non di grande, come
i pensieri siano formulati da bambini. Sicuramente Salvatores
per aver concepito questo film deve avere un ottimo rapporto
con il suo bambino interiore. Ecco infatti che il nostro occhio
di spettatori diventa occhio di bambino e ci fa vedere questo
film come se fosse nostro, come se fosse uno squarcio di ricordo,
un flash della nostra infanzia, chi di noi non ha trovato il
male “nei grandi” chi di noi non ha mai detto “io da grande
non diventerò mai come loro” un’amarezza ci sorprende
nel pensarlo e andiamo via dalla sala un po’ in colpa.
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