Forse
non tutti sanno che in India da secoli la donna è considerata
talmente proprietà del marito da essere in dovere di
seguirlo alla sua morte. Per fortuna nell’India dei ceti più
elevati questo non succede più, ma in un pease così
vasto, così pieno di lingue, di religioni, di culture
diverse, si trovano ancora condizioni che impediscono alle donne
di vivere in pace la loro vita. Molte vedove acconsentono di
bruciare vive sulla pira per seguire lo sposo che ha fatto loro
lo sberleffo di andare a miglior vita prima della consorte…Questa
pratica si chiama la “sati” (in sanscrito moglie virtuosa) ovvero
l’immolazione della vedova sulla pira del marito, si, perché
il vedovo si può risposare, ma la vedova…o brucia o può
andare in sposa solo ed esclusivamente a Krishna. Questa è
l’unica soluzione che può essere accettata anche dai
parenti del marito, se infatti la vedova non si getta sulla
pira funebre del marito, è vittima di strani incidenti
domestici, causati proprio dalla famiglia del marito, perché
vengono considerate le responsabili del lutto e quindi portatrici
di sfortuna, e sono allontanate, maltrattate o uccise perché
potrebbero portare chissà quali sciagure alla famiglia.
Il rito della sati è stato vietato nel 1829, ma quando
una tradizione è così insita nella cultura è
difficile estirparla con un semplice impedimento. Man mano questa
pratica diminuisce, ma le donne che fuggono a questo suicidio
non hanno un’esistenza felice.
A Vridavan si rifugiano le vedove che si sono rifiutate di morire
per doveri matrimoniali. Per questo Vidravan è chiamata
la città delle vedove, o delle spose di Krishna. Le vedove
avvolte di bianco arrivano in città su carretti, o a
piedi, portando con loro solo un rosario e il loro abito bianco
che in India è come il nostro nero, simbolo di lutto.
Hanno la testa completamente rasata perché è loro
vietata la pratica vanesia di pettinarsi.
Nella città delle vedove è vissuto Krisha, Dio
dell’amore e dell’infinito, per questo le vedove, giovani o
vecchie, si rifugiano in questa città aspettando che
qualcuno doni un po’ di riso alle loro tremanti mani protese
in carità.
Delle associazioni religiose le raccolgono e le nutrono in cambio
di preghiere e canti negli eventi pubblici e privati.
Donano loro 250 grammi di riso, 50 grammi di dal e due rupie
a testa, in cambio di otto ore di preghiere a turno, dalle sei
alle dieci, e dalle tre del pomeriggio alle otto.
Le vedove chiedono perdono per il loro peccati, uno di questi,
il più grande, è quello di non essere morte insieme
al marito. La loro sofferenza è lunga, e le accompagna
fino alla morte, vivere nella città delle vedove è
come vivere in un purgatorio dove tutte sono lì per lo
stesso peccato, e aspettano che le loro preghiere vengano esaudite
e che la morte porti loro u po’ di pace .
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